Redazione documentale Gruppo SG

DVR

Valutazione dei rischi

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Valutazione rumore

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Valutazione vibrazioni

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Valutazione agenti
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REDAZIONE DVR Documento valutazione dei rischi

Il DVR è un documento che individua i possibili rischi presenti in un luogo di lavoro e serve ad analizzare, valutare e cercare

di prevenire le situazioni di pericolo per i lavoratori.

A seguito della valutazione dei rischi, infatti, viene attuato un preciso piano di prevenzione e protezione con l’obiettivo di eliminare,

o quantomeno ridurre, le probabilità di situazioni pericolose.

Chi redige il DVR? Continua a leggere ...

Chi redige il DVR? Il responsabile del DVR è il Datore di Lavoro: egli non può delegare questa attività ma, in ogni caso, può decidere di affidarsi a un tecnico specializzato nel campo della sicurezza sul lavoro per una consulenza mirata.

Insieme al datore di lavoro ci sono anche altre figure professionali che, a seconda dei casi previsti dalla legge, sono implicate nella redazione del DVR:

  • Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) che affianca il datore in fase di valutazione dei rischi e contribuisce a pianificare le misure di protezione e prevenzione;
  •  Medico Competente (MC) che contribuisce a valutare i rischi specifici in relazione alla salute dei lavoratori e si occupa di predisporre il protocollo di sorveglianza sanitaria;
  •  Rappresentante dei Lavoratori (RLS) che viene consultato preventivamente sul contenuto della valutazione dei rischi e deve riceverne una copia per presa visione.

Il documento di valutazione dei rischi è indispensabile per regolarizzare la posizione di ogni azienda, con almeno un dipendente, in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

 

Il DVR serve a valutare le probabilità di accadimento di un evento dannoso per i lavoratori, calcolare l’entità del danno che ne può derivare e suggerire concrete misure di prevenzione e protezione.

 

Prima di passare alla stesura del documento (in forma cartacea o digitale) è necessario raccogliere alcune informazioni circa l’attività oggetto di valutazione: numero di addetti, mansioni svolte, fasi del processo lavorativo, ecc.

 

• La valutazione dei rischi, inoltre, deve contenere:

anagrafica aziendale: tutti i dati dell’azienda;

• organigramma del servizio di prevenzione e protezione: anagrafica delle figure professionali coinvolte nella redazione del DVR (RSPP, Medico competente, RLS, dirigenti, preposti);

• descrizione del ciclo lavorativo: elenco di impianti, macchinari, attrezzature, sostanze chimiche impiegate, ecc.;

• identificazione delle mansioni;

• relazione sulla valutazione di tutti i rischi, che individua i pericoli presenti in ogni fase lavorativa e per ogni mansione individuata, i dipendenti esposti ai rischi specifici (rumore, vibrazioni, ROA, CEM, MMC, ecc. ), stima dell’esposizione e della gravità del danno; 

• programma delle misure di prevenzione e protezione, con le eventuali procedure da adottare per migliorare i livelli di sicurezza, i tempi di realizzazione e l’indicazione dei dispositivi di protezione individuali da utilizzare;

• programma degli interventi migliorativi necessari per aumentare i livelli di sicurezza.

 

Il DVR è obbligatorio Indipendentemente dal settore di categoria, il Documento di Valutazione dei Rischi è obbligatorio per tutte le aziende che hanno almeno 1 dipendente o collaboratore (soci lavoratori, tirocinanti, lavoratori con contratti temporanei) e va redatto:

  • entro 90 giorni per una nuova attività
  • nell’immediato, quando un lavoratore entra in forza a un’impresa già avviata.

Le uniche realtà esenti dall’obbligo del DVR sono i lavoratori autonomi e le imprese familiari, che seguono la normativa dell’art. 2222 del Codice Civile. Essendo una fotografia della realtà aziendale, non è prevista una scadenza del DVR, che però deve essere rivisto ogni volta in cui avvengono significative modifiche per quanto riguarda:

  • processo produttivo
  • organizzazione del lavoro
  • nuovi macchinari
  • nuove mansioni
  • scadenze periodiche per quanto riguarda alcuni rischi specifici (quali rumore, vibrazioni, stress lavoro correlato, ecc).
  • La copia originale, firmata da tutte le figure coinvolte, viene conservata in azienda e resa disponibile per eventuali visite d’ispezione di ASL, INPS, INAIL o Vigili del Fuoco che possono richiederne la visione.

È importante ricordare che la mancata o incompleta elaborazione del Documento di Valutazione dei Rischi può comportare pesanti sanzioni per il Datore di Lavoro: 

  • ammenda da un minimo di 3.000 € fino ad un massimo di 15.000 €, oltre a pene detentive fino a 8 mesi;
  • sospensione dell’attività imprenditoriale in caso di reiterata mancanza di compilazione del DVR e mancata nomina dell’ RSPP;
  • modifica dei contratti subordinati aziendali: da tempo determinato, intermittente o somministrato a tempo indeterminato.
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DVR RUMORE Valutazione rumore

Il rumore è uno dei principali rischi per la salute nei luoghi di lavoro. La valutazione rischio rumore è l’analisi del livello di esposizione al rumore dei lavoratori all’interno degli ambienti di lavoro ed è finalizzata ad accertare che l’esposizione al rumore rientri entro i limiti di sicurezza definiti dalla norma.

L’art. 28 del dlgs 81/2008 afferma che il datore di lavoro ha l’obbligo di valutare tutti i rischi all’interno della sua attività lavorativa, compreso il rischio rumore. Anche nelle attività in cui sia chiaramente assente o trascurabile tale rischio, il datore di lavoro deve comunque valutarlo sempre indicandolo espressamente nel DVR.

Cos’è il rumore? Continua a leggere...

Il rumore è un effetto acustico di disturbo, di origine naturale o artificiale, che interferisce con l’attività di chi ascolta. L’unità di misura con cui si identifica il rumore è il decibel (dB). Per eseguire correttamente la valutazione del rischio rumore, è utile conoscere le definizioni riportate dall’art. 188 dlgs 81/2008 al comma 1:

  • la pressione acustica di picco (Ppeak) che è il valore massimo della pressione acustica istantanea ponderata in frequenza «C»;
  • il livello di esposizione giornaliera al rumore (LEX,8h) [dB(A) riferito a 20 μPa]: valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione al rumore per una giornata lavorativa nominale di 8 ore (definito dalla norma internazionale ISO 1999:1990). Si riferisce a tutti i rumori sul lavoro, incluso il rumore impulsivo;
  • il livello di esposizione settimanale al rumore (LEX,w): valore medio, ponderato in funzione del tempo, dei livelli di esposizione giornaliera al rumore per una settimana nominale di cinque giornate lavorative di 8 ore (definito dalla norma internazionale ISO 1999:1990).

Rischio rumore: quali sono i rischi per la salute?

 

I danni provocati dal rumore sono in funzione della potenza acustica e del tempo di esposizione. E’ possibile suddividerli in:

  • traumi all’udito, l’esposizione al rumore alla lunga può provocare la distruzione di cellule che non si rigenerano e da cui deriva una progressiva perdita dell’udito;
  • effetti su altri organi di senso, il rumore può agire negativamente provocando vertigini e nausee;
  • effetti fisiologici come stanchezza, senso di fatica, disturbi del sonno;
  • effetti psicologici come angoscia, disagio, paura, difficoltà di concentrazione, disturbo della memoria e della personalità ecc;
  • Un’alta esposizione al rumore nei luoghi di lavoro può causare, quindi, gravi danni e comportare l’insorgenza di malattie professionali significative, come:
  • la ipoacusia da rumore, ossia la diminuzione della percezione sonora fino al limite della perdita della capacità uditiva.
  • La sordità, ossia la totale perdita dell’udito.

Quali sono i valori limiti di esposizione al rumore previsto dal dlgs 81/2008?

 

L’art. 189 del dlgs 81/2008 al comma 1 definisce i valori limite di esposizione (cioè i livelli massimi che non possono essere superati) e i valori superiori ed inferiori che fanno scattare l’applicazione di specifiche misure di sicurezza. I valori indicati fanno riferimento:

  • al livello di esposizione giornaliera al rumore per una giornata di 8 ore (LEX, 8h);
  • alla pressione acustica di picco istantanea ponderata in frequenza C (Ppeak).

Se, a seconda delle caratteristiche dell’attività, l’esposizione giornaliera al rumore varia significativamente da una giornata all’altra, è possibile sostituire il livello di esposizione giornaliera con quello settimanale (LEX, w), a condizione che non ecceda il valore limite di 87 dB(A) e che siano adottate adeguate misure per ridurre al minimo i rischi associati a tale attività (art. 189 dlgs 81/2008, comma 2)

 

Quando è obbligatoria la valutazione rischio rumore?

 

Il datore di lavoro ha l’obbligo di effettuare la valutazione del rumore all’interno della propria azienda, al fine di individuare i lavoratori esposti al rischio rumore ed attuare adeguati interventi di prevenzione e protezione per la salute e sicurezza. La valutazione rischio rumore è sempre obbligatoria e deve riguardare tutte le aziende che, indipendentemente dal settore produttivo, abbiano almeno 1 lavoratore esposto a fonti di rumore. Anche nelle attività in cui questo rischio sia chiaramente assente o trascurabile, il datore di lavoro deve comunque valutarlo indicandolo espressamente nel DVR.

L’esito della valutazione rischio rumore viene inserito nel:

• piano di sicurezza e coordinamento (PSC);

• nel documento di valutazione dei rischi interferenti (DUVRI).

 

Ogni quanto va effettuata e aggiornata la valutazione del rischio rumore?

 

La valutazione dei rischi derivanti da esposizioni ad agenti fisici viene programmata ed effettuata, con cadenza almeno quadriennale, da personale qualificato nell’ambito del servizio di prevenzione e protezione in possesso di specifiche conoscenze in materia.

In ogni caso, la valutazione dei rischi viene aggiornata ogni qual volta si verificano mutamenti che potrebbero renderla obsoleta, ossia, quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne rendono necessaria la sua revisione. L’esito della valutazione costituisce parte integrante del documento di valutazione del rischio.

 

Cosa deve valutare il datore di lavoro?

 

Secondo il comma 1 dell’art. 190 dlgs 81/2008, nel processo di valutazione del rischio di esposizione al rumore durante le attività lavorative, il datore di lavoro deve prendere in considerazione:

  • il livello, il tipo e la durata dell’esposizione;
  • i valori limite di esposizione e i valori di azione di cui all’art 189 (valori limite di esposizione e valori di azione);
  • tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori esposti;
  • le informazioni sull’emissione di rumore fornite dai costruttori dell’attrezzatura di lavoro;
  • • l’esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l’emissione di rumore;
  • il prolungamento del periodo di esposizione al rumore oltre l’orario di lavoro normale;
  • le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria;
  • la disponibilità di dispositivi di protezione dell’udito con adeguate caratteristiche di attenuazione (DPI-uditivi, dispositivi di protezione individuale).
  • In base all’esito, il datore di lavoro individua le necessarie misure di prevenzione e protezione:
  • riduce le emissioni di rumore alla sorgente;
  • adotta orari che tengano sotto controllo l’esposizione al rumore;
  • elabora, e applica, un programma di misure tecniche e organizzative finalizzate a ridurre l’esposizione al rumore, considerando in particolare le misure sopra elencate (art. 190 dlgs 82/2008, comma 2);
  • • prescrive che i lavoratori evitino di sostare, in maniera prolungata, in ambienti di lavoro ad elevata rumorosità.
  • Se, nonostante l’adozione delle misure applicate, i valori limite di esposizione vengono superati , il datore di lavoro deve:
  • • adottare misure immediate per riportare l’esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione;
  • individuare le cause dell’esposizione eccessiva;
  • modificare le misure di protezione e di prevenzione per evitare che la situazione si ripeta.

Valutazione rischio rumore: normativa di riferimento

 

Le normative di riferimento relativa al rischio rumore sono:

  • il dlgs 81/2008 al titolo VIII – Agenti Fisici;
  • il dlgs 195/2006: attuazione della direttiva 2003/10/CE relativa all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (rumore).
  • Ad integrare la suddetta normativa ci sono:
  • la UNI 9432:2011 (acustica – determinazione del livello di esposizione personale al rumore nell’ambiente di lavoro) che valuta i livelli di esposizione giornaliera e settimanale;
  • la UNI EN ISO 9612:2011 (acustica – determinazione dell’esposizione al rumore negli ambienti di lavoro – Metodo tecnico progettuale) che descrive un metodo tecnico progettuale per la misurazione dell’esposizione al rumore dei lavoratori nell’ambiente di lavoro e il calcolo del livello di esposizione sonora;
  • la UNI 11347:2015 programmi aziendali di riduzione dell’ esposizione a rumore.
  • Valutazione rischio rumore con misurazioni fonometriche
  • La valutazione rischio rumore con misurazioni viene effettuata con particolari rilevazioni acustiche e deve contenere:
  •  
  • il layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori esposti, ecc.);
  • • la descrizione del ciclo lavorativo (almeno di quelle fasi, in relazione alle quali, non è possibile ritenere la presenza di un rischio trascurabile);
  • • l’individuazione di eventuali fattori potenzianti il rischio (ototossici, vibrazioni, ecc.), come identificati dall’art.190, comma 1;
  • i risultati delle misurazioni di rumore (LAeq, Lpicco e LCeq);
  • l’individuazione delle aree e delle macchine a forte rischio (LAeq > 85 dB(A) e Lpicco > 137 dB(C));
  • la valutazione del rispetto dei valori limite di esposizione (per LEx > 87 dB(A) e Lpicco > 140 dB(C));
  • il calcolo dei LEX e dei Lpicco per ciascuna mansione prevedibilmente esposta oltre gli 80 dB(A) e i 135 dB(C);
  • la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia dei DPI uditivi per ciascuna mansione esposta oltre gli 80 dB(A) e i 135 dB(C);
  • la definizione delle misure tecniche e organizzative di contenimento del rischio (norma UNI 11347:2015);
  • le conclusioni e il piano di miglioramento.

 

Valutazione rischio rumore senza misurazioni

 

La valutazione rischio rumore senza misurazioni viene effettuata se l’esposizione al rumore risulta trascurabile e richiede l’impiego di sole alcune rilevazioni standard in maniera tale da escludere il superamento dei valori limite. La valutazione deve contenere:

  • il layout (planimetria e indicazione delle macchine, attrezzature, lavoratori esposti, ecc.);
  • l’individuazione di eventuali fattori potenzianti il rischio (ad es.: ototossici, vibrazioni, rumori impulsivi, ecc.), come identificati dall’art.190, comma 1;
  • l’indicazione delle motivazioni che escludono il superamento dei valori di azione inferiori nella giornata/settimana/settimana ricorrente a massimo rischio;
  • le conclusioni con le eventuali indicazioni specifiche per la riduzione del rischio.

Valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro

 

Il rumore all’interno degli ambienti di lavoro rimane una delle più frequenti cause di malattie professionali.  La valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro è un’attività che ha i seguenti scopi:

  • calcolare il valore di esposizione personale al rumore da cui far discendere le misure di prevenzione per la salute dei lavoratori esposti;
  • indicare gli interventi tecnici e organizzativi che possono essere adottati dal datore di lavoro per ridurre l’esposizione al rischio laddove la rumorosità sia superiore ai requisiti previsti dalla normativa vigente.
  • In particolare, la norma UNI 11347:2015 riguardante il P.A.R.E. (programma aziendale per la riduzione dell’esposizione) nei luoghi di lavoro, specifica:
  • come indicare gli interventi tecnici e organizzativi che vengono adottati dall’azienda per ridurre l’esposizione al rumore;
  • come identificare le aree di lavoro a maggior rischio al fine della loro delimitazione all’accesso attraverso la redazione del P.A.R.E. al rumore.

Nel P.A.R.E. debbono essere fornite una serie di informazioni come l’elenco dei lavoratori e delle attività per le quali si è riscontrato in fase di valutazione del rischio di superamento dei valori previsti e le misure tecniche e organizzative che si intendono adottare tenendo conto delle esigenze:

• della sicurezza;

• della produzione;

• dell’ambiente.

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DVR VIBRAZIONI Valutazione vibrazioni

Il rischio di vibrazioni dovuto all’uso di strumenti o macchinari specifici è un fattore importante da considerare per la salute dei lavoratori. Tale rischio è regolamentato dal Capo III del Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, intitolato “Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a vibrazioni”, e in particolare è l’articolo 202 a stabilire l’obbligo di valutare il rischio di vibrazioni. In questo articolo, esamineremo in dettaglio questo argomento.

 

  • cos’è il rischio vibrazioni e quando serve la valutazione del rischio;
  • differenza tra vibrazioni mano-braccio e corpo intero;
  • fattori da considerare nella valutazione rischio vibrazioni.
Valutazione eirschio vibrazioni: cos'è e quando serve Continua a leggere...

Vibrazioni mano-braccio e corpo intero

 

La “Direttiva Macchine” 2006/42/CE impone ai costruttori di dichiarare i valori delle vibrazioni emesse dagli utensili portatili e dalle macchine.

 

In generale, vengono distinte due diverse tipologie di vibrazioni: quelle mano-braccio (HAV) o quelle che interessano il corpo intero (WBV).

 

A seconda della tipologia di vibrazioni, infatti, cambiano anche i valori limite di esposizione e di azione stabiliti per legge: vediamo, nel dettaglio, le differenze

 

Vibrazioni mano-braccio (HAV)

 

Sono quelle che derivano da un’apparecchiatura vibrante che nell’uso normale va impugnata con una o con entrambe le mani. A titolo esemplificativo (non esaustivo) di questa tipologia fanno parte:

 

• martelli pneumatici;

• trapani (anche quelli da dentista);

• avvitatori;

• scalpellatori/scrostatori;

• levigatrici;

• seghe circolari e motoseghe;

• smerigliatrici;

• decespugliatori;

• tagliaerba;

• limatrici;

• cubettatrici;

• chiodatrici.

 

In linea di massima, questi tipi di vibrazioni possono comportare disturbi vascolari, osteoarticolari, neurologici o muscolari.

In base all’articolo 201 del D.Lgs. 81/08, il valore limite di esposizione giornaliera per le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio (su un periodo di riferimento di 8 ore) è fissato a 5 m/s2, mentre su periodi brevi è di 20 m/s2.

Il valore d’azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è invece di 2,5 m/s2.

 

Vibrazioni trasmesse al corpo intero (WBV)

 

Sono quelle ricevute a bordo di macchine semoventi su gomma, su cingoli e mezzi di trasporto, attraverso sedili di guida o pianali, oppure quelle ricevute in prossimità di macchine fisse.

 

A titolo d’esempio, non esaustivo, si possono citare:

 

• ruspe;

• carrelli elevatori;

• trattori;

• perforatori;

• gru e autogru;

• camion, autobus, imbarcazioni;

• trasporti su rotaia;

• elicotteri;

• motociclette, ciclomotori.

 

In linea di massima sono vibrazioni che possono comportare lombalgie e traumi del rachide.

Il valore limite di esposizione giornaliera, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è di 1,0 m/s2, mentre su periodi brevi di 1,5 m/s2.

Il valore d’azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è invece di 0,5 m/s2.

 

DVR vibrazioni: i fattori da tenere in considerazione

 

Nella valutazione del rischio vibrazioni, la legge prevede che il datore di lavoro debba tenere conto dei seguenti fattori:

 

  • livello, tipo e durata dell’esposizione, inclusa ogni esposizione a vibrazioni intermittenti o a urti ripetuti;
  • valori limite di esposizione e valori d’azione;
  • eventuali effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio (soprattutto donne in gravidanza e minori);
  • eventuali effetti indiretti sulla sicurezza e salute dei lavoratori, risultanti da interazioni tra vibrazioni meccaniche, rumore e ambiente di lavoro o altre attrezzature;
  • informazioni fornite dal costruttore dell’attrezzatura di lavoro;
  • esistenza di attrezzature alternative per ridurre i livelli di esposizione alle vibrazioni;
  • prolungamento, oltre le ore lavorative, del periodo di esposizione a vibrazioni trasmesse al corpo intero (nei locali di cui il datore di lavoro è responsabile);
  • condizioni di lavoro particolari, come le basse temperature, l’elevata umidità, il bagnato o il sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e del rachide;
  • informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese quelle reperibili nella letteratura scientifica (per quanto possibile).

Sulla base di quanto emerso nel DVR vibrazioni, se i valori d’azione vengono superati il datore di lavoro dovrà adottare adeguate misure per ridurre al minimo l’esposizione dei lavoratori e i conseguenti rischi.

In questo caso, l’art. 203 stabilisce che il datore di lavoro debba considerare:

 

  • altri metodi di lavoro che richiedano una minore esposizione a vibrazioni meccaniche;
  • scelta di attrezzature di lavoro adeguate, che tengano conto dei principi ergonomici e che, in base al lavoro da svolgere, producano il minor livello di vibrazioni possibile;
  • fornitura di attrezzature accessorie per ridurre i rischi di lesioni provocate da vibrazioni
  • adeguati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro, dei sistemi sul luogo di lavoro e dei DPI;
  • progettazione e organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro;
  • adeguata informazione e formazione dei lavoratori sull’uso corretto e sicuro delle attrezzature di lavoro e dei DPI, per ridurre al minimo l’esposizione a vibrazioni;
  • limitazione della durata e dell’intensità dell’esposizione;
  • organizzazione di orari di lavoro appropriati, con adeguati periodi di riposo;
  • fornitura, ai lavoratori esposti, di indumenti per la protezione dal freddo e dall’umidità.
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MMC
Movimentazione manuale dei carichi

Movimentazione manuale dei carichi, sollevamento e trasporto, traino-spinta e movimenti ripetitivi:

cosa sono e come valutare il rischio

 

Per Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC) si intendono tutte le attività che consistono in sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico (art. 167, comma 2, D. Lgs. 81/08). In effetti il rischio per la salute deve essere valutato non solo relativamente alle azioni di sollevamento (movimentazione manuale dei carichi) ma anche di traino spinta ed infine relativamente ai “cosiddetti” movimenti ripetuti o ripetitivi. Ancora oggi sia il rischio legato alla movimentazione manuale dei carichi, sia il rischio legato al traino spinta, risultano tra i più diffusi e spesso determinano malattie professionali.

Valutazione MMC - Continua a leggere...

La valutazione MMC (Movimentazione Manuale dei Carichi), oltre a determinare il livello di rischio per la sicurezza e la salute a cui sono soggetti i lavoratori, consente anche un’analisi critica delle modalità operative attuate in azienda e l’attuazione e/o la programmazione di misure migliorative, dal punto di vista ergonomico, organizzativo e tecnico con risvolti sull’efficienza del sistema produttivo.

 

VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI (MMC) PER SOLLEVAMENTO E TRASPORTO, AZIONI TRAINO SPINTA E MOVIMENTI RIPETUTI

 

I tecnici sono dotati delle competenze e della strumentazione necessaria per effettuare la valutazione del rischio derivante dai movimenti ripetitivi e dalla movimentazione manuale dei carichi per sollevamento e trasporto e traino-spinta, ai sensi del D. Lgs. 81/08. Le valutazioni dei rischi sono effettuate in accordo con le norme UNI ISO 11228 e ISO TR 12295.

 

APPROFONDIMENTO SULLE METODOLOGIE DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI (MMC)

 

Il riferimento normativo per valutare i fattori di rischio connessi all’attività di movimentazione manuale dei carichi è rappresentato dal Titolo VI e dall’allegato XXXIII del D.Lgs. 81/08 e s.m.i..

L’art. 168 stabilisce che il Datore di Lavoro, tenendo conto dell’Allegato XXXIII, deve valutare, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza e di salute connesse alle attività lavorative di movimentazione manuale dei carichi.

Per effettuare la valutazione dei rischi il Datore di Lavoro può assumere le norme tecniche, ove applicabili, le buone prassi e le linee guida quali criteri di riferimento per l’adempimento dei propri obblighi (si ricordano fra gli altri i noti metodi NIOSH, OCRA e Snook Ciriello). Tra le norme tecniche da assumere come riferimento, il Testo Unico sulla Sicurezza specificatamente richiama le norme UNI ISO 11228 1, 2 e 3, alle quali si aggiunge la ISO TR 12295.

 

RISCHI PER LA SALUTE DELL’UOMO CAUSATI DALLA MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI (MMC)

 

La movimentazione manuale di carichi può essere la causa dello sviluppo di patologie dovute alla graduale usura cumulativa dell’apparato muscolo-scheletrico, in particolare del rachide lombare, riconducibile a operazioni continue di sollevamento o movimentazione (per esempio, dolori dorso-lombari).

Si affianca, inoltre, il rischio legato al carico stesso che può cadere provocando fratture o contusioni, può essere caldo o tagliente e provocare quindi ustioni o ferite, può essere ingombrante o instabile e impedire la vista di scalini o oggetti che si trovano a terra facendo inciampare chi lo trasporta.

 

LA NORMA UNI ISO 11228 E LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA SOLLEVAMENTO E TRASPORTO

UNI ISO 11228-1 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 1: Sollevamento e trasporto”

 

Per quanto concerne la valutazione del rischio da movimentazione manuale dei carichi (MMC) causato dalle attività di sollevamento e trasporto, la norma UNI ISO 11228-1 suggerisce un approccio simile al noto metodo NIOSH (1993), confrontando, per ogni compito di sollevamento, il peso effettivamente sollevato con il cosiddetto Peso Limite Raccomandato, attraverso un’equazione che, a partire da un peso massimo sollevabile in condizioni ideali, considera l’eventuale esistenza di fattori lavorativi sfavorevoli introducendo nell’equazione fattori moltiplicativi che per ciascun fattore considerato possono assumere valori compresi tra 0 e 1.

I fattori di rischio considerati nella norma UNI ISO 11228-1 e nel metodo NIOSH corrispondono ai principali elementi di rischio lavorativo citati nell’Allegato XXXIII del D.Lgs. 81/08.

La norma UNI ISO 11228-1 propone vari pesi iniziali in relazione alla popolazione prevista di utilizzatori (maschi, femmine, lavoratori adulti, lavoratori particolari). Per l’applicazione del metodo generalmente si considerano come pesi di riferimento massimi 25 kg per gli uomini e 20 kg per le donne.

 

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO MMC PER ATTIVITÀ DI TRAINO-SPINTA

 

UNI ISO 11228-2 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 2: Spinta e traino”

Per quanto riguarda la valutazione del rischio dovuto alle azioni di traino-spinta, la norma UNI ISO 11228-2 offre indicazioni per la valutazione dei fattori di rischio ritenuti rilevanti per le azioni manuali di spinta e traino, e prevede due metodi di valutazione: un metodo “generale” ed un metodo “specialistico”.

L’approccio cosiddetto “generale” è riconducibile in sostanza al metodo “Snook Ciriello” e si basa sull’utilizzo di tavole-tabelle sperimentali da cui ricavare i valori limite raccomandati da confrontare con i valori misurati delle azioni di traino e/o spinta. Tale metodo per la valutazione del rischio connesso con le azioni di traino spinta richiede di poter misurare la forza richiesta per effettuare tali attività.

Il Metodo “specialistico” è un metodo complesso che consente di effettuare la valutazione sulla base dei dati demografici ed antropometrici della popolazione in esame. A causa della sua complessità, di fatto risulta un metodo di scarsa utilità pratica.

 

MISURAZIONI PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA TRAINO SPINTA: IL DINAMOMETRO

 

Per la misurazione e la valutazione degli sforzi che producono esposizione al rischio da sovraccarico biomeccanico dell’apparato muscolo-scheletrico (ed in particolare del rachide), quali le azioni di traino, spinta e trasporto in piano, nonché quelle di sollevamento e/o abbassamento di carichi, viene utilizzato il dinamometro, strumento per la misurazione della forza.

UNI ISO 11228-3 “Ergonomia – Movimentazione manuale – Parte 3: Movimentazione di bassi carichi ad alta frequenza”

Anche le attività lavorative che comportano movimenti ripetuti degli arti superiori possono essere responsabili di molte patologie a carico dell’operatore. Svolgere compiti ripetitivi può comportare una riduzione della produttività e affaticamento: per questo risulta fondamentale una corretta VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA MOVIMENTI RIPETITIVI.

Le norme UNI ISO 11228-3 e ISO TR 12295 trattano, appunto, la valutazione del rischio di movimenti ripetuti. La metodologia normalmente si compone di due fasi: la prima fase consiste nello screening iniziale basato sull’uso di una check-list proposta dalla norma ISO TR 12295, e qualora necessario si prosegue con la seconda fase, più dettagliata, che rimanda ad affermati e complessi metodi di analisi riconosciuti a livello internazionale, con una espressa preferenza per il Metodo OCRA (Occupational Ripetitive Actions). Tale analisi richiede una specifica osservazione delle azioni tecniche effettuate, effettuabile utilizzando riprese video.

 

LE POSTURE STATICHE E LA NORMA ISO 11226

ISO 11226 “Valutazione delle posture di lavoro statiche”

 

La norma ISO 11226 considera i fattori derivanti da posture incongrue dei segmenti corporei, anche in assenza di movimentazione manuale dei carichi, compresi testa, collo, tronco, arti inferiori e piedi.

Per l’esecuzione della valutazione viene proposto il metodo REBA (Rapid Entire Body Assessment) che permette di calcolare l’indice relativo al rischio da posture di lavoro statiche e/o incongrue.

Il D.lgs. 81/08, seppur non prevede uno specifico titolo per il rischio posturale, indica nelle “Misure generali di tutela” art. 15 comma 1 lett. d) il “rispetto dei principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare alla fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo“. Pertanto il mancato rispetto dei principi ergonomici costituisce un fattore di rischio per la salute dei lavoratori.

Generalmente gli aspetti inerenti il rischio posturale sono considerati con la valutazione MMC (Movimentazione Manuale dei Carichi), limitatamente al sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e del tratto lombare, tuttavia la UNI ISO 11228 e le relative analisi non forniscono informazioni esaustive qualora le attività lavorative comportassero prevalentemente l’assunzione di posture incongrue (in genere statiche – anche in assenza di rischi da sollevamento di carichi, traino spinta e/o movimenti ripetitivi).

La norma ISO 11226 specifica i limiti raccomandati per le posture di lavoro statiche senza o con minimo esercizio di forma esterna, tenendo conto degli angoli del corpo e della durata dell’esposizione.

Fornisce una linea guida sulla valutazione di diversi compiti tramite la stima dei rischi di salute per la popolazione lavorativa.

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DVR BIOLOGICO
Valutazione agenti biologici

Il rischio biologico è spesso poco conosciuto e sottostimato in molti luoghi di lavoro, tranne poche eccezioni legate ad alcune attività lavorative come gli ambienti sanitari. In linea di principio nessun ambiente di lavoro può considerarsi esente dalla presenza di agenti biologici data la loro ubiquità in acqua, polveri, rifiuti, alimenti, aria e nello stesso essere umano.

Il titolo X del dlgs 81/2008, dall’art. 266 al 286, descrive la valutazione del rischio biologico, le misure di prevenzione e protezione da adottare e gli obblighi del datore di lavoro.

 

La valutazione dei rischi è il principio fondamentale su cui si basa la buona gestione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Nella valutazione del rischio biologico, il datore di lavoro è tenuto a valutare il rischio per la salute dei lavoratori derivante dall’esposizione agli agenti biologici, deliberatamente o occasionalmente, presenti nell’ambiente di lavoro.

Cos’è il rischio biologico? Continua a leggere...

Il rischio biologico è un tipo di rischio che deriva dall’esposizione ad agenti o a sostanze biologiche potenzialmente pericolose e dannose per la salute dei lavoratori che vengono in contatto con tali sostanze.

Gli agenti biologici sono organismi viventi di natura diversa che, in svariate condizioni e modalità, possono arrecare danni alla salute dell’uomo anche negli ambienti di lavoro. Infatti, in base al tipo di attività e di esposizione, del processo lavorativo, delle materie utilizzate e delle condizioni igieniche, gli agenti biologici possono causare infezioni, intossicazioni e, addirittura, in alcuni casi neoplasie.

Come definito dall’art.267, titolo X, dlgs 81/2008, per agente biologico si intende qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano in grado di provocare infezioni, allergie o intossicazioni.

 

Classificazioni degli agenti biologici

L’art. 268 fornisce una classificazione degli agenti biologici, ripartiti in 4 gruppi a seconda del rischio di infezione:

  • il gruppo 1 riporta gli agenti biologici che presentano poche probabilità di causare malattie sui soggetti umani;
  • il gruppo 2 comprende gli agenti che possono causare malattie e costituire un rischio per i lavoratori, con poca probabilità di propagazione nella comunità e per cui sono disponibili efficaci misure di profilassi e terapia;
  • il gruppo 3 riporta agenti che possono causare malattie gravi e costituire un serio rischio per i lavoratori, con probabilità di propagazione nella comunità e per cui sono disponibili efficaci misure di profilassi e terapia;
  • il gruppo 4 classifica gli agenti biologici che possono provocare malattie gravi e costituire un serio rischio per i lavoratori, con alto rischio di propagazione nella comunità e per cui, di norma, non sono disponibili efficaci misure di profilassi e terapia.

Nel caso in cui l’agente biologico oggetto di classificazione non possa essere attribuito in modo inequivocabile ad uno dei gruppi sopraindicati, esso va classificato nel gruppo di rischio più elevato tra le due possibilità (comma 2 art. 268 dlgs 81/08).

 

Comunicazione e autorizzazione

 

Il datore di lavoro che intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici appartenenti ai gruppi 2 o 3, comunica all’organo di vigilanza territorialmente competente (ASL) le seguenti informazioni, almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori:

  • il nome, l’indirizzo dell’azienda e il suo titolare;
  • il documento di cui all’art. 271, comma 5 (valutazione del rischio).

Il datore di lavoro che intende utilizzare, nell’esercizio della propria attività, un agente biologico del gruppo 4 deve munirsi di autorizzazione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. La richiesta di autorizzazione è corredata da:

  • informazioni di cui all’articolo 269, comma 1;
  • elenco degli agenti che si intende utilizzare.

L’autorizzazione è rilasciata dai competenti uffici del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali sentito il parere dell’Istituto superiore di sanità; essa ha la durata di 5 anni ed è rinnovabile.

 

Quali sono gli obblighi del datore di lavoro?

 

Il Capo II del titolo X del dlgs 81/2008 elenca gli obblighi del datore di lavoro. Essi sono:

  • valutazione del rischio biologico (art. 271);
  • misure tecniche, organizzative e procedurali (art. 272);
  • misure igieniche (art. 273);
  • misure di emergenza (art. 277);
  • informazione e  formazione specifica per i lavoratori (art. 278).

Inoltre, lo stesso dlgs 81/2008 definisce anche gli obblighi del datore di lavoro per alcuni specifici ambiti occupazionali dove è necessario intervenire con misure speciali. Si tratta di:

  • strutture sanitarie e veterinarie (art. 274);
  • laboratori e stabulari (art. 275);
  • processi industriali (art. 276).

Valutazione del rischio biologico

 

Nella valutazione del rischio, il datore di lavoro deve tener conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative (art. 271).

In particolare, deve considerare:

 

  • la classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana;
  • l’informazione sulle malattie che possono essere contratte a causa di questi agenti biologici;
  • i potenziali effetti allergici e tossici;
  • la conoscenza di una patologia da cui è affetto un lavoratore da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;
  • eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio;
  • il sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.

In modo analogo, il documento di valutazione del rischio deve essere integrato con:

  • le fasi lavorative che comportano il rischio di esposizione ad agenti biologici;
  • il numero dei lavoratori addetti a tali fasi lavorative;
  • le generalità dell’RSPP (responsabile del servizio di prevenzione e protezione);
  • i metodi e le procedure lavorative adottate;
  • il programma di emergenza per la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad un agente biologico del gruppo 3 o 4, nel caso di un difetto nel contenimento fisico.

La valutazione dei rischi deve essere ripetuta ogni qualvolta si verificano cambiamenti al processo lavorativo che comportano alterazione dei livelli di rischio biologico e contestualmente il DVR dove essere aggiornato.

 

Misure tecniche, organizzative e procedurali

 

L’art. 272 indica le misure tecniche, organizzative e procedurali che il datore di lavoro deve attuare per evitare ogni esposizione degli agenti biologici.

Nello specifico, il datore di lavoro deve:

  • evitare l’utilizzo di agenti biologici nocivi (se il tipo di attività lavorativa lo consente);
  • limitare al minimo i lavoratori esposti al rischio di agenti biologici;
  • progettare adeguatamente i processi lavorativi;
  • adottare misure collettive di protezione;
  • adottare misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente biologico fuori dal luogo di lavoro;
  • usare il segnale di rischio biologico e altri segnali di avvertimento appropriati;
  • elaborare idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed animale;
  • definire procedure di emergenza per affrontare incidenti;
  • verificare la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico primario, se necessario o tecnicamente realizzabile;
  • predisporre i mezzi necessari per la raccolta, l’immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti mediante l’impiego di contenitori adeguati;
  • concordare procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all’interno e all’esterno del luogo di lavoro

Misure igieniche

 

L’art. 273 indica che il datore di lavoro ha il compito di assicurare che i lavoratori dispongano di servizi sanitari adeguati e di dispositivi di protezione individuale.

 

Misure di emergenza

 

Se si verificano incidenti che provocano la dispersione nell’ambiente di un agente biologico appartenente ai gruppi 2, 3 o 4, i lavoratori devono abbandonare la zona interessata, cui possono accedere solo gli addetti con l’obbligo di usare gli idonei mezzi di protezione. Il datore di lavoro deve informare l’ASL, i lavoratori e il RLS delle cause e delle misure che intende adottare (art. 277)

 

Informazione e formazione

Il datore di lavoro è obbligato a fornire ai lavoratori informazioni ed istruzioni riguardo a (art. 278):

  • rischi per la salute dovuti agli agenti biologici utilizzati;
  • precauzioni da prendere per evitare l’esposizione;
  • misure igieniche da osservare;
  • funzione degli indumenti di lavoro e protettivi e dei dispositivi di protezione individuale ed il loro corretto impiego;
  • procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici del gruppo 4;
  • modo di prevenire il verificarsi di infortuni e le misure da adottare per ridurne al minimo le conseguenze.

Sorveglianza sanitaria

 

I lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità.

 

Registro degli esposti

 

I lavoratori addetti ad attività che comportano l’uso di agenti del gruppo 3 o 4 sono iscritti in un registro in cui vengono riportati:

  • l’attività svolta;
  • l’agente utilizzato;
  • eventuali casi di esposizione individuali.

Il datore di lavoro istituisce e aggiorna questo registro, ne cura la tenuta tramite il RSPP mentre il medico competente e il RLS ne hanno accesso.

PIMUS
Montaggio/smontaggio ponteggi

Il PiMUS è un documento operativo, contenente una serie di indicazioni per gli addetti e i preposti all’utilizzo del ponteggio, affinché sia tutelata la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori.

Il PiMUS è obbligatorio per tutti i cantieri ogni qual volta si preveda l’uso di un ponteggio per l’esecuzione dei lavori.

Il PiMUS dunque deve essere preso a riferimento dal personale addetto al montaggio, all’uso e allo smontaggio dei ponteggi, al fine di garantire:

  • ·la sicurezza dei lavoratori che operano nel cantiere e utilizzano il ponteggio
  • la sicurezza degli altri lavoratori del cantiere, abitanti o fruitori di uno stabile in corso di ristrutturazione
Chi può redigere il PiMus - Continua a leggere...

Il Testo Unico per la Sicurezza (dlgs 81/2008) prevede l’obbligo in capo al datore di lavoro di redigere il PiMUS.

In particolare, l’articolo 136 (Montaggio e smontaggio) prevede che nei lavori in quota, il datore di lavoro deve provvede a redigere a tramite una persona competente un piano di montaggio, uso e smontaggio (PiMUS).

Il PiMUS deve essere elaborato in funzione della complessità del ponteggio scelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l’adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista.

Il piano può assumere la forma di un piano di applicazione generalizzata integrato da istruzioni e progetti particolareggiati per gli schemi speciali costituenti il ponteggio.

Il PiMUS è messo a disposizione del preposto addetto alla sorveglianza e dei lavoratori interessati.

 

Chi deve firmare il PiMUS

 

La norma non chiarisce quali siano i requisiti che deve possedere la persona che deve firmare il PiMUS, ma si limita a definirlo “persona competente”.

L’art. 136 del dlgs 81/2008 prevede che

nei lavori in quota, il datore di lavoro provvede a redigere a mezzo di persona competente un piano di montaggio, uso e smontaggio (Pi.M.U.S.), in funzione della complessità del ponteggio scelto, con la valutazione delle condizioni di sicurezza realizzate attraverso l’adozione degli specifici sistemi utilizzati nella particolare realizzazione e in ciascuna fase di lavoro prevista.

Non sono previsti particolari requisiti per chi firma il PiMUS

 

Tuttavia, si ritiene che per persona competente si possa intendere:

  • il datore di lavoro che ha già maturato esperienze
  • il tecnico abilitato alla progettazione del ponteggio
  • il preposto con sufficiente esperienza
  • l’RSPP (Responsabile del servizio prevenzione e protezione) che deve effettuare la valutazione dei rischi e scegliere le attrezzature idonee e le procedure per il loro uso

Quando è obbligatorio il PiMus

 

Il PiMUS è obbligatorio per le seguenti tipologie di ponteggio:

  • per i ponteggi metallici fissi, in tutti i casi, indipendentemente da dimensioni, complessità e necessità di progetto
  • per gli impalcati o altre opere provvisionali costruite con elementi di ponteggi metallici fissi
  • per i ponteggi realizzati con elementi in legno

II PiMUS non deve essere redatto per la realizzazione di opere provvisionali diverse dai ponteggi, quali:

  • • ponti su ruote (trabattelli)
  • • ponti su cavalietti
  • • parapetti
  • • ecc.

Come fare un PiMUS

 

La norma fornisce indicazioni su come fare un PiMUS: i contenuti minimi sono dettagliatamente descritti nell’allegato XXII del dlgs 81/2008.

Il PiMUS deve contenere almeno le seguenti informazioni:

 

  • Dati identificativi del luogo di lavoro
  • Identificazione del datore di lavoro che procederà alle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio
  • Identificazione della squadra di lavoratori, compreso il preposto, addetti alle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio
  • Identificazione del ponteggio
  • Disegno esecutivo del ponteggio dal quale risultino:
  • generalità e firma del progettista
  • sovraccarichi massimi per metro quadrato di impalcato
  • indicazione degli appoggi e degli ancoraggi.
  • Quando non sussiste l’obbligo del calcolo, invece delle indicazioni sono sufficienti le generalità e la firma della persona competente.
  • Progetto del ponteggio, quando previsto
  • Indicazioni generali per le operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio (“piano di applicazione generalizzata”):
  • planimetria delle zone destinate allo stoccaggio e al montaggio del ponteggio, evidenziando, inoltre: delimitazione, viabilità, segnaletica, ecc.
  • modalità di verifica e controllo del piano di appoggio del ponteggio (portata della superficie, omogeneità, ripartizione del carico, elementi di appoggio, ecc.)
  • modalità di tracciamento del ponteggio, impostazione della prima campata, controllo della verticalità, livello/bolla del primo impalcato, distanza tra ponteggio (filo impalcato di servizio) e opera servita, ecc.
  • descrizione dei DPI utilizzati nelle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio e loro modalità di uso, con esplicito riferimento all’eventuale sistema di arresto caduta utilizzato ed ai relativi punti di ancoraggio
  • descrizione delle attrezzature adoperate nelle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio e loro modalità di installazione ed uso
  • misure di sicurezza da adottare in presenza, nelle vicinanze del ponteggio, di linee elettriche aeree nude in tensione
  • tipo e modalità di realizzazione degli ancoraggi
  • misure di sicurezza da adottare in caso di cambiamento delle condizioni meteorologiche (neve, vento, ghiaccio, pioggia) pregiudizievoli alla sicurezza del ponteggio e dei lavoratori
  • misure di sicurezza da adottare contro la caduta di materiali e oggetti
  • Illustrazione delle modalità di montaggio, trasformazione e smontaggio, riportando le necessarie sequenze “passo dopo passo”, nonché descrizione delle regole puntuali/specifiche da applicare durante le suddette operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio (“istruzioni e progetti particolareggiati”), con l’ausilio di elaborati esplicativi contenenti le corrette istruzioni, privilegiando gli elaborati grafici costituiti da schemi, disegni e foto
  • Descrizione delle regole da applicare durante l’uso del ponteggio
  • Indicazioni delle verifiche da effettuare sul ponteggio prima del montaggio e durante l’uso

POS-PSC Piano operativo di sicurezza Piano sicurezza e coordinamento

Il Piano Operativo di Sicurezza (POS) e il Piano di sicurezza e coordinamento ( PSC ) sono gli strumenti fondamentali per la gestione di sicurezza di tutti i cantieri edili. Di seguito gli approfondimenti sui servizi che puoi richiederci

Il Piano Operativo di Sicurezza (POS)- Continua a leggere...

Il Piano Operativo di Sicurezza (POS) è un documento che fornisce informazioni sulle misure di sicurezza da adottare nei cantieri

 

e nelle unità produttive al fine di ridurre il rischio di infortuni e prevenire lo sviluppo di patologie professionali. In breve, il POS

 

è un documento che il datore di lavoro deve redigere per proteggere i lavoratori all’interno dei cantieri.

 

Quando si deve fare il POS?

 

POS è sempre “obbligatorio nelle le imprese che operano, anche in subappalto, all’interno di cantieri, compresi quelli temporanei o mobili”. Inoltre il Piano Operativo di Sicurezza deve essere redatto per ogni cantiere.

 

Quando non si deve fare il POS?

 

Non è obbligatorio redigere un POS quando l’attività da svolgere non si configura come cantiere temporaneo o mobile (ex art. 96 del D. lgs 81/2008)

 

Nello specifico il POS non è obbligatorio per:

  • i Lavoratori Autonomi, in quanto categoria che esercita la propria attività in modo autonomo senza subordinazione alcuna, in quanto non rientrano nelle disposizioni dell’articolo 17 comma 1 lettera a
  • le imprese pubbliche o in caso di appalto pubblico in presenza di unica impresa.

Chi deve redigere il Piano Operativo di Sicurezza

 

In base alle disposizioni del D.Lgs 81/2008, il Piano Operativo Sicurezza dev’essere redatto obbligatoriamente dal datore di lavoro, prima dell’avvio dei lavori.

 

Quali devono essere i contenuti minimi del POS

 

Il Piano Operativo di Sicurezza deve contenere sicuramente:

a) i dati identificativi dell’impresa esecutrice, che comprendono:

  • il nominativo del datore di lavoro dell’impresa, gli indirizzi ed i riferimenti telefonici della sede legale e degli uffici di cantiere;
  • la specifica attività e le singole lavorazioni svolte in cantiere dall’impresa esecutrice e dai  lavoratori autonomi subaffidatari;
  • i nominativi degli addetti al pronto soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori e, comunque, alla gestione delle emergenze in cantiere, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, aziendale o territoriale, ove eletto o designato;
  • il nominativo del medico competente ove previsto;
  • il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione – RSPP;
  • i nominativi del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere;
  • il numero e le relative qualifiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto della stessa impresa;

b) le specifiche mansioni, inerenti la sicurezza, svolte in cantiere da ogni figura nominata allo scopo dall’impresa esecutrice;

c) la descrizione dell’attività di cantiere, delle modalità organizzative e dei turni di lavoro;

d) l’elenco dei ponteggi, dei  ponti su ruote a torre e di altre opere provvisionali di notevole importanza, delle macchine e degli impianti utilizzati nel cantiere;

e) l’elenco delle sostanze e preparati pericolosi utilizzati nel cantiere con le relative  schede di sicurezza;

f) valutazione dei rischi a cui sono sottoposti i lavoratori dell’impresa;

g) l’esito del rapporto di valutazione del rumore;

h) l’individuazione delle misure prevenzione e protezione, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere;

i) le procedure complementari e di dettaglio, richieste dal PSC (piano di sicurezza e coordinamento) quando previsto

l) organizzazione della sicurezza globale dell’impresa circa le lavorazioni, le macchine e le attrezzature

m) l’elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati in cantiere;

n) la documentazione in merito all’informazione ed alla formazione fornite ai lavoratori occupati in cantiere.

 

Chi deve firmare il POS?

 

Come per il DVR deve firmarlo il Datore di Lavoro.

Quali sono le fasi di presentazione del POS 

Le fasi di presentazione sono 3 e si distinguono in base ai soggetti coinvolti:

 

1. per il committente: che deve trasmettere il piano operativo di sicurezza e di coordinamento a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori. Prima dell’inizio lavoro deve trasmettere il PSC alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi;

2. per le ditte esecutrici: il datore di lavoro deve consegnare il piano operativo all’impresa affidataria e al Coordinatore per l’esecuzione dei lavori (CSE) almeno 15 giorni prima dell’inizio lavori. Il Coordinatore dei lavori deve verificare l’idoneità del documento e, se lo accetta, si occupa di mettere in atto quanto previsto dal documento;

3. per le ditte subappaltatrici: il datore di lavoro dell’impresa affidataria consegna il documento al titolare dell’impresa che subappalta, almeno 30 giorni prima dell’ingresso in cantiere. A questo punto è compito del titolare dell’impresa che subappalta rivolgersi al Coordinatore per l’esecuzione.

 

Le sanzioni per la mancata redazione del POS

Per mancata o incompleta elaborazione del POS, il datore di lavoro rischia una pena detentiva fino a 8 mesi e una sanzione da 3.000€ a 15.000€, e la trasformazione dei contratti aziendali in tempo indeterminato;

PSC Piano Sicurezza e Coordimento art. 100 del D. lgs. 81/08

 

Il PSC (Piano di sicurezza e coordinamento) è il documento redatto in fase di progetto in cui sono analizzati tutti gli aspetti legati ai rischi e alle misure di prevenzione e protezione relative a uno specifico cantiere e che dovranno essere strettamente connesse ai Piani operativi di sicurezza (POS). Analizza le fasi di lavoro svolte in cantiere, le fasi critiche del processo di costruzione e tutte le misure da adottare per ridurre e prevenire i rischi di lavoro.

 

Che cosa è il PSC? Qual è il fine principale di un piano di sicurezza?

 

Il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) è una relazione dettagliata da allegare al contratto di appalto che mette in luce le varie fasi operative del lavoro, individua le situazioni a rischio, prevede azioni per la messa in sicurezza del cantiere. Il PSC è un documento molto importante in quanto rappresenta una garanzia per lo svolgimento delle attività lavorative nel rispetto della sicurezza. È obbligatorio quando sono presenti più imprese nei cantieri, anche non contemporanee, oppure quando una sola azienda affidataria si avvale di altre imprese per l’esecuzione.

POS e PSC sono due pratiche da fare con molta precisione, il primo è un documento sempre obbligatorio, l’altro solo in alcuni casi. Il POS si riferisce ai rischi all’interno dello specifico cantiere e legati alle lavorazioni da effettuare da parte della singola impresa, il PSC invece prende in considerazione anche i rischi esterni ed effettua un coordinamento specifico.

Il piano di sicurezza deve essere distribuito al RSPP (responsabile servizio prevenzione e protezione), al responsabile lavori e coordinatori. Questa diffusione è gestita e garantita dal titolare dell’impresa.

 

Quando si fa il PSC?

 

Il PSC è redatto nella fase di progettazione dell’opera o comunque prima della richiesta di presentazione delle offerte per l’appalto. È parte integrante della gara d’appalto per poi essere punto di riferimento per la realizzazione del progetto.

Il PSC è costituito da una relazione tecnica con tutte le prescrizioni, correlate alla complessità dell’opera, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori ed una serie di tavole esplicative.

I datori di lavoro delle imprese esecutrici mettono a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza copia del PSC e del POS almeno 10 giorni prima dell’inizio dei lavori.

Il committente o il responsabile dei lavori trasmette il PSC a tutte le imprese invitate a presentare offerte per l’esecuzione dei lavori. In caso di appalto di opera pubblica si considera trasmissione la messa a disposizione del piano a tutti i concorrenti alla gara di appalto.

L’impresa che si aggiudica i lavori ha facoltà di presentare al coordinatore per l’esecuzione proposte di integrazione al piano di sicurezza e di coordinamento, ove ritenga di poter meglio garantire la sicurezza nel cantiere sulla base della propria esperienza. In nessun caso le eventuali integrazioni possono giustificare modifiche o adeguamento dei prezzi pattuiti.

Prima dell’inizio dei lavori l’impresa affidataria trasmette il piano alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi.

 

Chi redige il PSC e quando è obbligatorio

 

Il PSC deve essere redatto dal Coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione; in alcuni casi particolari è redatto dal Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Nel caso di lavori privati non soggetti a permesso di costruire e comunque di importo inferiore a 100.000 euro, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori.

Il PSC è obbligatorio quando nel cantiere sono presenti più imprese, sia nel caso di lavori pubblici che privati.

Secondo quanto previsto dall’art. 131 del vecchio Codice appalti (dlgs n. 163/2006), in regime di appalti pubblici, quando non è prevista la redazione del PSC, l’appaltatore deve redigere il PSS (Piano di Sicurezza Sostitutivo), integrandolo con i contenuti del POS (Piano operativo di Sicurezza).

In realtà, il nuovo Codice appalti ha abrogato in toto il dlgs n. 163/2006, senza alcuna previsione del piano sostitutivo; né il correttivo appalti introduce alcun richiamo al PSS.

 

Contenuti del PSC

 

I contenuti minimi del PSC e l’indicazione della stima dei costi della sicurezza sono definiti nell’allegato XV del dlgs n. 81/2008.

Il PSC è specifico per ogni singolo cantiere temporaneo o mobile e di concreta fattibilità; i suoi contenuti sono il risultato di scelte progettuali ed organizzative, per evitare di incorrere in errori o dimenticanze, la scelta migliore da fare è quella di affidarti ad un software di piani di sicurezza, usalo ora gratis per 30 giorni.

Il PSC contiene almeno i seguenti elementi:

 

a. l’identificazione e la descrizione dell’opera, esplicitata con:

1. l’indirizzo del cantiere

2. la descrizione del contesto in cui è collocata l’area di cantiere

3. una descrizione sintetica dell’opera, con particolare riferimento alle scelte progettuali, architettoniche, strutturali e tecnologiche

b. l’individuazione dei soggetti con compiti di sicurezza, esplicitata con l’indicazione dei nominativi del responsabile dei lavori, del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e, qualora già nominato, del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione ed a cura dello stesso coordinatore per l’esecuzione con l’indicazione, prima dell’inizio dei singoli 

e. le prescrizioni operative, le misure preventive e protettive ed i dispositivi di protezione individuale, in riferimento alle interferenze tra le lavorazioni

f. le misure di coordinamento relative all’uso comune da parte di più imprese e lavoratori autonomi, come scelta di pianificazione lavori finalizzata alla sicurezza, di apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva

g. le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento, nonché della reciproca informazione, fra i datori di lavoro e tra questi ed i lavoratori autonomi

h. l’organizzazione prevista per il servizio di pronto soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori, nel caso in cui il servizio di gestione delle emergenze è di tipo comune; il PSC contiene anche i riferimenti telefonici delle strutture previste sul territorio al servizio del pronto soccorso e della prevenzione incendi

i. la durata prevista delle lavorazioni, delle fasi di lavoro e, quando la complessità dell’opera lo richieda, delle sottofasi di lavoro, che costituiscono il cronoprogramma dei lavori, nonché l’entità presunta del cantiere espressa in uomini‐ giorno

j. la stima dei costi della sicurezza

lavori, dei nominativi dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi

c. una relazione concernente l’individuazione, l’analisi e la valutazione dei rischi concreti, con riferimento all’area ed alla organizzazione del cantiere, alle lavorazioni ed alle loro interferenze

d. le scelte progettuali ed organizzative, le procedure, le misure preventive e protettive, in riferimento:

1. all’area di cantiere

2. all’organizzazione del cantiere

3. alle lavorazioni

 

Il coordinatore per la progettazione indica nel PSC, ove la particolarità delle lavorazioni lo richieda, il tipo di procedure complementari e di dettaglio al PSC stesso e connesse alle scelte autonome dell’impresa esecutrice, da esplicitare nel POS.

Il PSC è corredato da tavole esplicative di progetto, relative agli aspetti della sicurezza, comprendenti almeno una planimetria e, ove la particolarità dell’opera lo richieda, un profilo altimetrico e una breve descrizione delle caratteristiche idrogeologiche del terreno o il rinvio a specifica relazione se già redatta.

L’elenco indicativo e non esauriente degli elementi essenziali utili alla definizione dei contenuti del PSC.

 

Planimetria di cantiere per PSC: che cos’è?

 

Nella documentazione relativa alla sicurezza di un cantiere si presenta anche il “Layout di cantiere”.

Che cos’è? Si tratta di un disegno che include la documentazione tecnica dello svolgimento dei lavori. Il documento è molto utile in quanto è possibile capire visivamente quali sono i rischi all’interno dell’area di lavoro: mezzi in movimento, eventuali carichi in sospeso ec.

La documentazione grafica deve essere firmata dal coordinatore per la sicurezza che ha anche l’obbligo di farne rispettare il contenuto. Il layout di cantiere viene poi approvato dal committente e dall’impresa esecutrice e viene allegata al PSC.

 

Stress lavoro correlato

 

Lo stress lavoro correlato è una delle patologie più diffuse tra quelle collegate con l’attività professionale e può essere causato dalla maniera in cui il lavoro viene organizzato e/o dalle mansioni che devono essere svolte. Inevitabilmente, questo malessere incide sul piano aziendale, dando luogo a una serie di problematiche di tipo organizzativo e non solo. Tra i fenomeni che possono verificarsi quando un lavoratore è sottoposto a stress vi sono:

un calo nella produttività;

un maggiore assenteismo;

un aumento nell’incidenza degli infortuni;

una maggiore tendenza a compiere errori o a cadere in disattenzioni.

Per questa ragione, la valutazione del rischio stress lavoro correlato è molto importante, nonché un obbligo di legge a carico del datore di lavoro. Tale obbligo è parte integrante del DVR, documento che rappresenta la mappatura dei rischi per la salute e la sicurezza presenti in un’azienda.

In mancanza di una corretta valutazione dello stress lavoro correlato, il datore di lavoro può incorrere in sanzioni non di poco conto come l’arresto da 3 a 6 mesi oppure un’ammenda da € 2.500 a € 6.400. 

 

Cos’è lo stress da lavoro correlato?

 

L’Accordo quadro europeo del 2004 definisce lo stress lavoro correlato come “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.

Lo stress da lavoro correlato può interessare ogni luogo di lavoro e ogni lavoratore, in quanto causato da aspetti diversi strettamente connessi con l’organizzazione e l’ambiente di lavoro. Non si tratta di una malattia, ma se questa si manifesta con intensità e perdura nel tempo può causare problemi di salute psichica e fisica.

 

Stress lavoro correlato: quadro normativo

 

Il quadro normativo è rappresentato da:

dlgs 81/2008 (testo unico sicurezza) che classifica lo stress lavoro correlato come uno dei rischi soggetti a valutazione e gestione;

accordo europeo 8 ottobre 2004.

A questi possiamo aggiungere le indicazioni necessarie alla valutazione del rischio stress lavoro correlato predisposte nel novembre 2010 dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza. Infine, anche l’Inail ha sviluppato una proposta metodologica per la gestione e valutazione del rischio da stress lavoro correlato.

 

La valutazione rischio stress da lavoro correlato è obbligatoria

 

La valutazione del rischio stress lavoro correlato è obbligatoria, così come definito dall’art. 28 del dlgs 81/08, in cui viene esplicitamente specificato l’obbligatorietà di valutare tutti i rischi, compresi quelli legati allo stress da lavoro correlato. La valutazione del rischio stress spetta al datore di lavoro.

 

Come misurare il livello di stress da lavoro?

 

Il processo di valutazione del rischio stress da lavoro correlato si compone di 4 fasi principali, ognuna fondamentale per giungere ad una corretta identificazione e gestione del rischio:

fase propedeutica;

fase della valutazione preliminare;

fase della valutazione approfondita;

fase di pianificazione degli interventi.

Fase propedeutica

 

La fase propedeutica consiste nella preparazione e nell’organizzazione delle attività da svolgere durante la valutazione del rischio. Questa fase comprende a sua volta i seguenti momenti:

costituzione del gruppo di gestione della valutazione che ha il compito di programmare, monitorare e agevolare l’attuazione delle attività di valutazione e gestione del rischio; il gruppo è composto dallo stesso datore di lavoro e/o dirigente delegato, RSPP, ASPP, MC (ove nominato/i) e RLS/RLST;

individuazione dei gruppi omogenei di lavoratori (GOL) su cui verrà condotta la valutazione;

sviluppo e stesura del piano di valutazione e gestione del rischio;

sviluppo di una strategia comunicativa finalizzata a informare e coinvolgere nel processo i lavoratori, inclusi i dirigenti e i preposti.

Fase della valutazione preliminare

 

Nella fase preliminare vengono valutati gli indicatori organizzativi di natura oggettiva; viene svolta l’analisi degli eventi sentinella e la rilevazione degli indicatori di contenuto e contesto lavorativo. Lo strumento utilizzato per la valutazione preliminare è la lista di controllo che consente la raccolta dei dati ed una loro successiva valutazione oggettiva e parametrica.

 

Gli eventi sentinella

 

Gli eventi sentinella sono dei potenziali sintomi che, se più frequenti in determinati periodi, in determinati reparti e in relazione a determinate attività lavorative, possono costituire dei campanelli di allarme su possibili disfunzioni e/o incongruenze di tipo organizzativo.

 

Sono eventi sentinella:

• indici infortunistici;

• assenze per malattia;

• turnover;

• procedimenti e sanzioni;

• segnalazioni del medico competente;

• specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori.

 

Gli indicatori di contenuto e di contesto

Gli indicatori di contenuto e di contesto sono fattori che incidono in maniera differente sul rapporto tra lavoratore e ambiente di lavoro. Gli indicatori di contenuto lavorativo sono elementi caratteristici del tipo di lavoro svolto dai diversi gruppi omogenei di lavoratori e del modo in cui tale lavoro viene organizzato dall’azienda. In sostanza, sono quelle cause di stress che derivano proprio dalla natura e dalle caratteristiche del lavoro.

Indicatori di contenuto sono:

• ambiente di lavoro e attrezzature;

• carichi e ritmi di lavoro;

• orario di lavoro e turni;

• corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti.

 

Gli indicatori di contesto lavorativo, invece, consentono di indagare come i lavoratori (sempre intesi come gruppi omogenei di lavoratori e non come singoli) si rapportano con l’organizzazione aziendale e quale modalità di gestione di tali rapporti l’azienda stessa si è data. In sostanza, sono tutte quelle cause riguardanti le relazione tra l’individuo e l’organizzazione del lavoro.

Indicatori di contesto sono:

• ruolo nell’ambito dell’organizzazione;

• autonomia decisionale e controllo;

• conflitti interpersonali al lavoro;

• evoluzione e sviluppo di carriera;

• comunicazione

 

Una volta conclusa la fase di valutazione preliminare, è essenziale prevedere una restituzione dei risultati ai lavoratori al fine di informarli sulla situazione emersa nella propria azienda e sulle eventuali azioni che saranno messe in atto per contenere o eliminare il rischio stress da lavoro correlato.

Inoltre, se la valutazione preliminare si conclude con:

esito negativo (cioè non rileva elementi di rischio) questo risultato viene riportato nel DVR con la previsione di un piano di monitoraggio.

esito positivo (cioè rileva elementi di rischio) si procede con la pianificazione e l’adozione di opportuni interventi correttivi; se quest’ultimi risultano inefficaci si passa alla successiva valutazione approfondita.

Fase della valutazione approfondita

La fase di valutazione approfondita consente di rilevare le percezioni dei lavoratori in base agli indicatori di contenuto e di contesto lavorativo; va obbligatoriamente intrapresa qualora l’esito della valutazione preliminare abbia rilevato la presenza, in uno o più gruppi omogenei, di una condizione di rischio stress lavoro e gli interventi correttivi attuati non abbiano ottenuto l’effetto di abbattimento del rischio.

L’ analisi delle percezione dei lavoratori costituisce un elemento chiave nell’identificazione del rischio stesso in quanto la valutazione approfondita rappresenta un momento informativo sulle condizioni di salute dei lavoratori e dell’organizzazione, utile a una migliore definizione e caratterizzazione del rischio in un’ottica di miglioramento continuo dell’azienda.

Quali sono gli strumenti da utilizzare per la valutazione approfondita? Gli strumenti da adottare nella valutazione approfondita variano in base alla complessità organizzativa, alla dimensione aziendale e al numero di lavoratori appartenenti ai gruppi omogenei:

questionario, strumento che misura gli aspetti del contenuto e del contesto del lavoro ritenuti come potenziali fattori di stress rischio lavoro;

focus group, strumento di indagine psicosociale di natura qualitativa che si realizza con un’intervista rivolta ad un gruppo omogeneo per approfondire un tema o particolari aspetti di un  argomento condotta da un moderatore;

interviste semi-strutturate sulle famiglie di fattori/indicatori, strumento in grado di far emergere dati più precisi dell’intervista classica e consente di acquisire indicazioni sulle possibili soluzioni delle criticità riscontrate.

Fase di pianificazione degli interventi

 

Una volta conclusa la parte di valutazione, il percorso metodologico prevede l’identificazione degli interventi e delle azioni necessarie a correggere le criticità emerse e a migliorare le condizioni di lavoro. La fase di pianificazione degli interventi consiste, quindi, nell’individuare, pianificare e attuare misure e interventi correttivi che hanno lo scopo di eliminare o ridurre il rischio.

Le attività da attuare in questa fase sono

 

identificazione delle priorità di intervento a partire dai risultati emersi dalla fase di valutazione;

verifica della necessità di eventuali approfondimenti o informazioni integrative;

identificazione degli interventi di miglioramento in relazione alle priorità individuate;

definizione delle risorse necessarie, delle persone responsabili e dei relativi ruoli per l’attuazione dei diversi interventi;

pianificazione temporale degli interventi;

individuazione e pianificazione delle modalità di valutazione di efficacia degli interventi;

definizione di una strategia di comunicazione per la diffusione a tutti i lavoratori degli interventi in adozione.

Certificazione ISO

La nostra metodologia prevede la creazione di una documentazione concisa per favorire il miglioramento dell’azienda. L’implementazione della normativa dovrebbe rappresentare un vantaggio per l’azienda, evitando di generare ulteriori oneri burocratici e procedurali.

Consulenza Certificazione UNI EN ISO 9001

Ecco perché sceglierci come partner per raggiungere la certificazione:

La documentazione necessaria viene elaborata da noi (procedure, manuale qualità etc.) ed è personalizzata per l’azienda. La finalità è quella di sollevare l’azienda dal carico di lavoro che questi documenti comportano.

Assicuriamo una reale presenza in azienda per tutte le attività necessarie al raggiungimento della certificazione. Effettuiamo un numero di incontri in azienda in base alle complessità dei processi e delle problematiche aziendali.

Siamo presenti durante le verifiche ispettive dell’ente di certificazione per supportare l’azienda a fronte di richieste dell’auditor.

I nostri consulenti sono anche auditor certificati.

Siamo una società con certificazione di qualità UNI EN ISO 9001:2015.

Siamo una società strutturata: all’interno della nostra organizzazione abbiamo varie figure specializzate nei vari ambiti di sviluppo dell’Azienda.

 

Perchè ottenere la certificazione UNI EN ISO 9001

 

La certificazione UNI EN ISO 9001 può essere ottenuta da qualsiasi tipo di azienda indipendentemente dal numero dei dipendenti e indipendentemente dalla tipologia di settore. Hanno ottenuto la certificazione UNI EN ISO 9001 aziende manufatturiere, aziende di servizi, officine di autoriparazione veicoli, studi legali, società di noleggio auto, banche, comuni, ospedali, scuole, etc. La certificazione UNI EN ISO 9001 interessa le aziende che vogliono raggiungere l’eccellenza nella loro organizzazione aziendale, utilizzando la norma UNI EN ISO 9001, riconosciuta a livello mondiale come la migliore norma in tema di efficienza organizzativa.

 

Quanto tempo ci vuole per ottenere la certificazione UNI EN ISO 9001

 

Per poter ottenere la certificazione UNI EN ISO 9001 si ricorre all’aiuto di un nostro consulente esperto di ISO 9001 che definisce tutte le procedure e la modulistica necessarie per l’attività di verifica da parte dell’ente di certificazione e ottenere la certificazione UNI EN ISO 9001. I tempi necessari al raggiungimento della certificazione dipendono dalla complessità dei processi aziendali e dalla reattività dell’azienda.

 

Cos’è la certificazione UNI EN ISO 9001

La certificazione UNI EN ISO 9001

 

 è una certificazione riconosciuta a livello internazionale. Viene certificata l’organizzazione aziendale da parte di un ente terzo denominato ente di certificazione.

Vantaggi della certificazione ISO 14001

 

È dimostrato che le organizzazioni italiane con un sistema di gestione ambientale (SGA) certificato secondo la norma ISO 14001, registrano non soltanto benefici organizzativi e un miglioramento delle performance ambientali, ma anche vantaggi economici, che vanno dalla riduzione dei costi a una maggiore competitività sul mercato. Lo rileva l’indagine “Benefici, costi e aspettative della certificazione ISO 14001 per le organizzazioni italiane”, condotta con cadenza biennale da ACCREDIA e CESQA – Centro Studi Qualità Ambiente dell’Università degli Studi di Padova, per misurare benefici e limiti della certificazione SGA, valutando i miglioramenti, ma anche le difficoltà che le organizzazioni pubbliche e private incontrano nell’implementazione e nel mantenimento di un sistema certificato.

 

Quali sono le difficoltà nell’implementazione del sistema di gestione ambientale secondo la certificazione ISO 14001?

 

L’indagine del 2015 non ha rilevato scostamenti di sostanza rispetto alle precedenti rilevazioni sulle difficoltà delle organizzazioni nel conseguire e mantenere la certificazione ISO 14001. La diversa percezione dei limiti del sistema di gestione ambientale sembra dipendere soprattutto dall’attività economica svolta e dai processi produttivi attuati.

 

Benefici apportati dalla ISO 14001

 

I principali benefici risultano la conformità legislativa e le performance ambientali, per oltre il 70% dei rispondenti; a seguire i vantaggi organizzativi, che riguardano quasi il 60% delle organizzazioni.

I benefici di natura economica, dalla riduzione dei costi all’aumento della competitività sul mercato, sono rilevati da una percentuale di soggetti tra il 15% e il 25%.

I costi ritenuti più importanti per sviluppare e mantenere il sistema di gestione ambientale, tramite l’impiego di un consulente ISO 14001 sono relativi alle attività di formazione e consulenza, in aumento rispetto al passato, mentre quelli legati all’innovazione di prodotto risultano più contenuti e in ulteriore diminuzione nel confronto con le precedenti rilevazioni.

Cos’è la certificazione UNI ISO 45001:2018

 

La nuova norma internazionale è al passo con l’attuale processo di globalizzazione delle altre norme già aggiornate. Il 12 marzo 2018 è stata pubblicata la ISO 45001:2018, recepita contestualmente dall’UNI come norma italiana UNI ISO 45001:2018. Nasce così la prima norma ISO per certificare i sistemi di gestione per la salute e sicurezza sul lavoro.

 

A chi interessa la certificazione UNI ISO 45001:2018

 

La certificazione UNI ISO 45001:2018 può essere ottenuta da qualsiasi tipo di azienda indipendentemente dal numero dei dipendenti e dalla tipologia di settore.

La certificazione UNI ISO 45001:2018 interessa le aziende che vogliono raggiungere l’eccellenza nella loro gestione delle problematiche sulla sicurezza evitando il più possibile il verificarsi di infortuni, incidenti e malattie professionali, utilizzando lo standard UNI ISO 45001:2018, riconosciuta a livello mondiale come la migliore norma in tema di gestione delle problematiche della sicurezza e della salute in ambiti aziendali.

 

Quanto tempo ci vuole per poter ottenere la certificazione UNI ISO 45001:2018

 

Per poter ottenere la certificazione UNI ISO 45001:2018 affianchiamo all’azienda richiedente un nostro consulente esperto di ISO 45001 per redigere tutte le procedure e la modulistica necessarie per la verifica da parte dell’ente di certificazione e l’ottenimento della certificazione UNI ISO 45001:2018. I tempi necessari al raggiungimento della certificazione dipendono dalla complessità dei processi aziendali e dalla reattività dell’azienda.

Una volta all’anno poi l’ente di certificazione effettuerà audit di mantenimento per poter rinnovare annualmente la certificazione.

Per una quotazione personalizzata inviateci la vostra richiesta.

MANUALE PRIVACY - GDPR

Il percorso di compliance al GDPR: ll General Data Protection Regulation (GDPR) è stato introdotto dal legislatore con il fine

di armonizzare la normativa sulla privacy all’interno dell’Unione Europea.

Il GDPR abroga, pertanto, la direttiva 95/46/CE in materia di protezione dei dati personali, concepita in un periodo nel quale solo l’1% della popolazione europea utilizzava internet e non esistevano social media, tablet, app, …

GDPR 2016/679 Che cos'è? Continua a leggere ...

Il GDPR, in sintesi, introduce il concetto del «data protection by default and by design», che impone alle aziende di adottare tutte le garanzie necessarie per soddisfare i requisiti del GDPR e tutelare i diritti degli interessati, prima di avviare il trattamento dei dati personali.

La protezione del dato personale è quindi un aspetto cruciale che ciascuna azienda deve affrontare sin dalla fase di progettazione del servizio e che quindi ha un inevitabile impatto sia sui processi che sui sistemi informativi dell’azienda.

 

Il percorso per la compliance al GDPR

Cosa fare?

 

E’ anzitutto necessario comprendere se la vostra azienda presenta dei gap nei confronti del GDPR e quindi individuare le azioni da adottare per recepire le disposizioni normative.

L’analisi deve essere svolta considerando sia gli aspetti organizzativi e normativi, che quelli concernenti le misure di sicurezza.

Avviare un «percorso» strutturato e contestualizzato finalizzato a favorire il passaggio al GDPR e al mantenimento dei requisiti richiesti dalla legge nel tempo.

 

  • Identify&Assess: Effettuare un’analisi personalizzata del contesto di riferimento, volta a individuare i gap al GDPR ed elaborare un piano d’azione
  • Protection: Implementare il piano di azione individuato nella fase di “Identify&Assess” al fine di porre in essere misure organizzative e tecniche per recepire le disposizioni del GDPR
  • Maintain: Le misure implementate vengono sottoposte a verifiche periodiche per prevenire eventuali situazioni critiche o comportamenti errati nel trattamento dei dati. La  formazione in ambito privacy e sicurezza sostiene nel tempo l’efficacia degli interventi adottati

Insight e Agic Technology

12 consigli sul GDPR

 

1. Identifica i dati personali che tratti

Sii consapevole di quali dati personali tratti. Identificane la provenienza, le motivazioni per cui li tratti e se è effettivamente indispensabile conservarli.

 

2. Conserva soltanto i dati personali utili per le finalità del trattamento

Monitora se il periodo di conservazione dei dati personali che tratti è coerente con le finalità per cui sono stati raccolti o con altri obblighi di legge applicabili. Individua i dati personali la cui conservazione non è più necessaria e adotta misure che ti tutelino dall’effettuare trattamenti “non dovuti”.

 

3. Adotta un “modello organizzativo” per gestire gli adempimenti previsti dal GDPR

Definisci una struttura oganizzativa della tua azienda che identifichi ruoli e responsabilità, sia interni che esterni, per gestire gli adempimenti normativi del GDPR.

 

4. Aggiorna le policy e le procedure per la protezione dei dati personali

Documenta ruoli, responsabilità e modalità operative per la gestione della sicurezza del dato all’interno di policy e procedure organizzative. Assicura che tali documenti siano accessibili ai destinatari e che questi ultimi siano stati adeguatamente formati sui contenuti dei suddetti documenti

 

5. La “privacy by design” come principio fondamentale

La protezione del dato personale è un aspetto cruciale che ciascuna azienda deve affrontare sin dalla fase di progettazione di un servizio e che quindi ha un inevitabile impatto sia sui propri processi che sui sistemi informativi.

Adotta misure organizzative e tecniche adeguate per garantire che siano trattati, per impostazione predefinita, solo i dati personali necessari per ogni specifica finalità del trattamento.

 

6. Preparati per gestire casi di “data breach”

Il GDPR introduce l’obbligo di notificare all’autorità di controllo violazioni di dati personali di cui si è a conoscenza entro 72 ore, se si ritiene che da tale violazione derivino dei rischi. E’ altresì previsto l’obbligo di notificare la violazione al diretto interessato quando la violazione sia tale da poter determinare un rischio elevato per i diritti e le libertà fondamentali dell’interessato.

Implementa misure tecniche e organizzative idonee a rilevare e notificare eventuali violazioni dei dati personali.

 

7. Preparati per gestire i diritti degli interessati

Diversi sono i diritti riconosciuti all’interessato dal GDPR. In particolare: a) il diritto di accesso che comporta il diritto di ricevere una copia dei dati oggetto di trattamento; b) il diritto all’oblio, cioè il diritto di cancellazione dei dati, che prevede che l’interessato possa richiedere la cancellazione dei propri dati anche dopo la revoca del consenso; c) il diritto di limitazione del trattamento che si applica anche solo se l’interessato chiede la rettifica dei dati o si oppone al loro trattamento; d) il diritto alla portabilità dei dati che si applica in presenza del consenso dell’interessato o per l’adempimento di obblighi contrattuali e limitatamente ai dati forniti dall’interessato stesso. Implementa misure tecniche e organizzative per la gestione dei diritti degli interessati.

Sei responsabile di dimostrare il motivo di conservazione, del trattamento e l’integrità dei dati personali.

 

8. Maggiore responsabilità: sei pronto?

Principio teso a responsabilizzare i titolari del trattamento, affinché questi adottino approcci e politiche che tengano conto del rischio che un determinato trattamento di dati personali possa rappresentare per i diritti e le libertà degli interessati.

Si tratta di una grande novità per la protezione dei dati in quanto viene affidato ai titolari del trattamento il compito di decidere autonomamente le modalità, le garanzie e i limiti del trattamento dei dati personali.

 

9. Designazione del Data Protection Officer (DPO)

Nuova figura introdotta dal GDPR. Si tratta di un professionista con i compiti di informare e fornire consulenza al titolare del trattamento, sorvegliare sull’osservanza della normativa di riferimento, nonché delle politiche del titolare del trattamento, fornire – se richiesto – un parere in merito alla valutazione d’impatto sulla protezione dei dati, cooperare con l’autorità di controllo e fungere da punto di contatto per l’autorità di controllo per questioni connesse al trattamento.

Verifica se la tua azienda ha l’obbligo di designare un DPO e in caso affermativo formalizza la sua nomina.

 

10. Effettua ogni volta che è necessario una “Privacy Impact Analysis”

Ciascun titolare del trattamento deve effettuare, nei casi previsti dalla normativa, una valutazione di impatto sulla protezione dei dati. Ciò comporta la necessità di valutare in via preliminare l’impatto, dal punto di vista della privacy, di ogni operazione di trattamento dei dati che sarà svolta.

 

11. Predisponi e aggiorna il Registro delle attività di trattamento

Nei casi previsti dal GDPR, le aziende devono tenere un registro delle attività di trattamento svolte. Assicura la predisposizione del documento e il suo aggiornamento.

 

12. Sii trasparente nei confronti dell’interessato

L’articolo 5, paragrafo 1, lettera a) del GDPR, prescrive che i dati personali siano trattati in modo trasparente nei confronti dell’interessato. La trasparenza è pertanto un elemento costitutivo fondamentale della responsabilizzazione del titolare del trattamento.

Informazioni legali

I testi, le informazioni e gli altri dati pubblicati in questo sito nonchè i link ad altri siti presenti sul web hanno esclusivamente scopo informativo e non assumono alcun carattere di ufficialità. Non assume alcuna responsabilità per eventuali errori od omissioni di qualsiasi tipo e per qualunque tipo di danno diretto, indiretto o accidentale derivante dalla lettura o dall’impiego delle informazioni pubblicate, o di qualsiasi forma di contenuto presente nel sito o per l’accesso o l’uso del materiale contenuto in altri siti.

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Nel primo caso, la base giuridica del trattamento è l’esecuzione di un accordo; nel secondo caso è il consenso. I trattamenti avverranno con modalità elettroniche e verranno messi a disposizione delle terze parti (Responsabili Esterni del trattamento) nell’ambito dell’Unione Europea o in Paesi extra UE, regolarmente contrattualizzate e che offrono adeguate garanzie di sicurezza, necessarie per la fornitura di servizi essenziali al soddisfacimento delle Sue esigenze. Tali Responsabili Esterni, il cui elenco è disponibile dietro richiesta, possono appartenere a categorie di soggetti che supportano il Titolare nell’erogazione dei servizi offerti tramite il presente sito (quali, a titolo esemplificativo: sviluppatori software e gestori di siti web, spedizionieri).

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Ultimo aggiornamento: 06/06/2023.